L'ultimo provvedimento è dell'autorità antitrust tedesca che ha avviato oggi un procedimento nei confronti di Temu, la piattaforma cinese del fast fashion, per verificare se l'azienda stia influenzando i prezzi dei commercianti terzi sulla sua piattaforma di e-commerce. «Stiamo indagando sul sospetto che Temu possa imporre requisiti inammissibili sui prezzi dei commercianti sul mercato tedesco», ha affermato il presidente dell'autorità Andreas Mundt.
Temu, insieme a Shein, l'altro big del super fast fashion, sono state multate sia in Italia che in Francia per concorrenza a scapito dei marchi anche blasonati della moda. In Italia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha irrogato una sanzione di 1 milione di euro a Infinite Styles Services Co. Ltd, società che in Europa gestisce i siti di compravendita dei prodotti Shein.
«Gli annunci da parte di Shein di voler ridurre del 25% le emissioni di gas serra entro il 2030 e di azzerarle entro il 2050 - scrive l'Agcm - sono presentati in maniera generica e vaga, risultando addirittura contraddetti dall’incremento delle emissioni di gas serra dell’attività di Shein per gli anni 2023 e 2024».
Lo scorso luglio, l’antitrust francese ha inflitto a Shein una multa ben più salata, 40 milioni di euro e nei giorni scorsi, un tribunale svedese ha stabilito che Shein ha violato i diritti d'autore della piccola rivale Nelly, copiando senza autorizzazione le immagini di proprietà di Nelly per utilizzarle sul sito web svedese di Shein.
Risultato? Il tribunale ha dichiarato che Nelly ha richiesto una multa di 500.000 corone svedesi pari a 53.400 dollari, alla quale Infinite Styles Ecommerce, cioè Shein, non si è opposta.
«Queste multe hanno un impatto economico ridicolo rispetto al fatturato di queste multinazionali e rispetto anche al danno economico reale che questo fenomeno crea sulla filiera del fashion», ha spiegato l'avvocato Laura Bussoli, associate dello studio legale De Berti-Jacchia, specializzato, tra l'altro, in contrasto alla contraffazione, «danno che si ripercuote su tutta la catena degli stakeholder, perché è anche un danno ambientale, che si può tradurre in pratiche di lavoro non etiche, non sostenibili, non aderenti agli standard europei: in ultima analisi è un danno per il consumatore che si ritrova ad avere prodotti quasi mai certificati».
Gli articoli delle piattaforme cinesi sono offerti a prezzi molto bassi: il costo medio di un articolo Shein è di 14 dollari rispetto ai 26 dollari di H&M e ai 34 dollari di Zara (prime generazione di fast fashion). A sua volta i prezzi di Temu sono ancora più bassi di Shein dal 10% al 40%.
«Il settore oggetto di questo fenomeno corrosivo - sottolinea l'avvocato Bussoli - cuba un valore di circa 100 miliardi di fatturato annuo nella filiera della moda Italia, causando quello che si definisce un 'danno emergente', in termini di vendite sottratte al sistema moda in Italia e in Europa».
Il fatto che sia un fenomeno e-commerce, cioè che si svolge sul web, comporta una moltiplicazione del danno. «Se guardiamo ai dazi doganali – aggiunge Bussoli - si conferma l'entità del fenomeno: nel 2023 l'Ue ha sequestrato circa 250 milioni di articoli contraffatti per un valore di circa 3,5 miliardi di euro sempre nel settore abbigliamento e calzature».
Come è possibile difendersi? «Quello che devono fare le imprese italiane ed europee per combattere questo fenomeno – dice Bussoli - è innanzitutto creare portafogli forti, a prova di e-commerce e fast fashion. Quindi continuare a registrare marchi, disegni e modelli, sia a livello comunitario che anche nei paesi nei quali proviene questo fenomeno, quindi Cina e Hong Kong. Occorre valutare anche l'uso di tecnologie di autenticazione certe come per esempio le etichette o i qr code, che siano integrante nel cosiddetto passaporto digitale, il digital product passport, documento che dovrebbe viaggiare con i prodotti tessili per la certificazione certa di tali prodotti». (riproduzione riservata)