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Industria

Energy denuncia, in Italia per le batterie favoriti i costruttori cinesi

Secondo Davide Tinazzi, fondatore e ceo dell'azienda attiva nella produzione di sistemi di accumulo e batterie, le aziende cinesi ricevono sussidi all'intera filiera e all'export, in Europa, invece, il supporto è frammentato. In Francia, per esempio, c'è un cofinanziamento fino al 60% del costo di costruzioni delle gigafactory. In Italia, per ora, nulla e nelle aste i player cinesi sono favoriti


17/07/2025 12:15

di Mauro Romano - Class Edittori

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Davide Tinazzi, ceo di Energy

Con 42 milioni di euro di investimento per completare una gigafactory che può già triplicare la produzione, per poi ampliarla ulteriormente nel 2026, il gruppo Energy (quotato all'Egm) è uno dei player italiani più attivi nel settore delle batterie e dei sistemi di accumulo. Ma il co-fondatore e ad, Davide Tinazzi, è tutt'altro che soddisfatto del contesto di mercato.

"In Italia si sta lasciando spazio solo ai produttori cinesi. E nemmeno a quelli virtuosi, ma ai più scadenti". Lo sfogo del manager ha un bersaglio preciso: l'asta Macse (acronimo di Mercato a Termine degli Stoccaggi) per il 2028, che mette in campo 1,5 miliardi di euro per l'approvvigionamento a termine di 10 Gwh di nuova capacità di accumulo con batterie, che si svolgerà il 30 settembre. Ieri è scaduto il termine per la presentazione dei progetti e Tinazzi elenca cosa, a suo parere non va.

"Così com'è stata formulata, è una gara al ribasso che parte da un base d'asta molto bassa, favorendo i player cinesi, meno qualificati. Il rischio è che per i prossimi due anni il mercato venga saturato da tecnologie scadenti e non europee, escludendo chi ha investito in filiere locali. Alla gara Macse parteciperanno anche nostri clienti ai quali forniamo la tecnologia, ma non vediamo grandi possibilità per gli operatori europei", commenta il manager, che cita per contrasto il caso spagnolo, con una novità di questi giorni.

"La Spagna", spiega, "ha appena anticipato il Net Zero Industry Act, il regolamento Ue che dal 2026 obbligherà tutti gli Stati membri a garantire che almeno il 40% dei sistemi di accumulo e delle tecnologie critiche provenga da fornitori europei. La Spagna ha deciso di applicarlo da subito alle aste, vincolando i fondi pubblici, compresi i circa 700 milioni di euro che le ha appena dato l'Europa, al made in Europe. È una scelta saggia e strategica: aspettare il 2026 rischia di azzerare le filiere europee, già sotto pressione a causa dell'overcapacity cinese".

Anche altri Paesi europei offrono esempi di contrasto alla concorrenza della Cina. "Le aziende cinesi ricevono sussidi all'intera filiera e all'export. In Europa il supporto è frammentato, ma in Francia, per esempio, c'è un cofinanziamento fino al 60% del costo di costruzioni delle gigafactory. In Italia, per ora, nulla di simile. Servono regole coerenti e condizioni minime di equilibrio", sottolinea Tinazzi, "Già basterebbe, per esempio, riservare almeno una quota dell'asta Macse ai fornitori europei, con criteri non solo di prezzo. Se, per esempio, anche solo il 2% dell'asta venisse assegnato con un sovrapprezzo del 30-40%, non sarebbe un costo, ma un investimento nella filiera".

Nel frattempo, Energy deve adattarsi,e lo sta facendo con la crescita dell'export, che nel 2024 ha registrato un incremento di circa il 20% anno su anno."Circa il 20% dei nostri sistemi viene esportato, anche ora che i dazi ci hanno tagliato fuori dal mercato Usa. Vendiamo soprattutto nei Paesi Dach, Germania, Austria, Svizzera, e Benelux. È lì che vogliamo continuare a crescere, ma non abbandoneremo l'Italia. Anche qui si può fare bene, se le regole cambiano". (riproduzione riservata)


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