Durante la mia permanenza in Italia in occasione della Pasqua, mi è capitato di scorrere un articolo di Mario Giordano, pubblicato su Panorama in data 20 marzo e scritto in occasione della visita del Presidente Xi Jinping, dove venivano denunciate le acquisizioni di società o asset italiani da parte di gruppi internazionali, prevalentemente cinesi. Il testo prendeva spunto dal libro di Giordano:” L’Italia non è più italiana”.
La finalità di questo cahier des doléances dai toni aspri e viscerali era quella di esacerbare le contraddizioni del memorandum of understanding poi sottoscritto dal nostro governo e da quello cinese.
Un mese dopo, nella delegazione italiana presieduta dal premier, Giuseppe Conte, presente al Second Belt and Road Forum chiusosi domenica a Pechino vi erano pochi imprenditori italiani e da qui un acrimonioso commento della stampa italiana dovuta anche alle limitate firme di nuovi accordi (tre per l’esattezza e non facili da convertire a breve in operatività).
Da ultimo, all’interno della compagine governativa stanno confermandosi in nuce le riserve manifestatesi un mese fa sulla bontà del MoU.
Per dirimere il coacervo di posizioni ed arrivare ad un tentativo di sintesi è necessario partire da due osservatori: quello degli italiani in Cina e quello del nostro Paese.
Questa demarcazione non è un semplice esercizio scolastico ma può mettere in luce due sostanziali punti di vista. Per le imprese italiane presenti stabilmente in Cina da molti anni e per i loro diretti rappresentanti il sentiment, nonostante le difficoltà, le contraddizioni e le ambiguità, rimane positivo come in genere risulta dalle surveys che vengono periodicamente proposte dalla Camera di Commercio italiana piuttosto che da quella Europea.
Infatti nell’ultima survey del 2018 (a breve vi sarà la preparazione di quella dell’anno in corso) a cura della Camera Italiana, il risultato del campione rappresentativo di 265 intervistati su 480 soci ha dimostrato che il 67,5% è globalmente ottimista e si aspetta un incremento dei ricavi mentre il 59,8% è ottimista per la situazione cinese e si aspetta un incremento dei ricavi in Cina.
Le conseguenti discussioni e gli specifici seminari sono sempre orientati a comprendere e migliorare la gestione ed il conseguimento degli obiettivi aziendali. Mediamente i rappresentanti delle aziende conoscono abbastanza bene quelle che sono le specifiche problematiche e, nel segno della concretezza,cercano di migliorare la propria presenza sul mercato cinese.
A conferma di ciò basta sfogliare il magazine della Camera di Commercio Europea ed il tenore degli articoli segue sempre la falsariga del problem solving anticipato da un commento ed un’analisi dell’argomento (per esempio La nuova legge sull’e-commerce; una buona o cattiva notizia per il business?)
Più complesso è l’osservatorio italiano la cui posizione è ondivaga tra il voler presidiare la Cina soprattutto in termini di interscambio commerciale piuttosto che pensare a nuovi insediamenti produttivi sia per il mercato domestico che per l’area APAC.
Ma la biunivocità porta anche a considerare gli interessi di imprese cinesi verso realtà italiane con una redditività a due cifre ed una visibilità del marchio molto elevata piuttosto che a realtà in difficoltà finanziarie che possono però diventare sinergiche con altre attività dell’eventuale gruppo di acquisto.
Il fenomeno delle acquisizioni sta avvenendo in molti Paesi ed è ovviamente una conseguenza del fenomeno globalizzante di cui l’Italia non è esclusa ( enza parlare di Cina basterebbe rendicontare quante società italiane sono passate sotto il controllo di gruppi della vicina Francia).
La stessa posizione di Alibaba nel nostro Paese è da un lato molto considerata, come veicolo per la diffusione in Cina del nostro made in Italy ma, a ben vedere nella stessa Cina dall’ altro lato Amazon ha desistito nella presenza su questo territorio a causa della potenza stessa di Alibaba.
La nostra economia, debole da molti anni a causa di una condizione endogena, salvo una circoscritta percentuale di eccezioni qualificate in genere come eccellenze, non ha la forza di creare un circolo virtuoso di crescita. Quindi, in primo luogo la necessità di incentivare il nostro export diventa una ragione di vita considerando il dato medio dei consumi nel nostro Paese.
Nel mio precedente articolo, traevo alcune considerazioni non sicuramente esaustive per un modello da proporre in Cina. Siamo ancora distanti: infatti, a partire dal prossimo mese di maggio vi saranno in cartellone moltissime iniziative ma, ancora una volta non contestualizzate in un progetto culturale globale.
Dobbiamo però riconoscere che la visita di Xi Jinping in Italia ha smosso le acque della cooperazione e nella stampa di questi giorni (mi riferisco al China Daily e al South China Morning Post) quando si parla di Europa viene sempre citato ad esempio il nostro Paese. George Magnus, un ricercatore associato di Oxford sostiene che:”il recente MoU con l’Italia rappresenta almeno un considerevole colpo in termini di relazioni pubbliche. Ritengo pertanto che stiamo vedendo qualche aggiustamento nell’attuazione del programma della Belt and Road ma vi sono ancora dei veli e piu’ apparenza che sostanza”.
Il trattamento di calorosa accoglienza e di rispetto da parte del presidente Xi Jinping nei confronti del premier Conte durante la cena di gala del Forum è un elemento significativo nella lettura delle relazioni politiche tra i due Paesi.
D’altro lato l’Europa rimane una destinazione attrattiva degli investimenti cinesi e nel primo trimestre del 2019 il volume degli investitori cinesi relativamente alle tecnologie è aumentato del 25%. Situazione magmatica da sfruttare o allineamento a generici pincipi politici che come per altre materie importanti per il nostro paese vivono di mutazioni quotidiane?
Diventa difficile fare previsioni ma come Sun Tzu nell’Arte della guerra, solo per citare un classico, affermava:
”E così l’abile generale dà forma agli altri eppure è senza forma.
Pertanto sono concentrato mentre il nemico è diviso.
Sono concentrato e quindi ho la forza di uno.
Il nemico è diviso e ha la forza di un decimo.
Questo è l’uso di un decimo per colpire l’uno”.
Certamente è un concetto che va assimilato prudentemente ma le nostre divisioni interne non possono essere certo foriere di successi.
* general manager di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica, attiva in Cina da oltre 25 anni.