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Politica

Soia, chip e navi, si allarga il contenzioso Cina-Usa sui commerci

La settimana prossima dovrebbe scattare la tassa imposta da Trump su ogni nave cinese che attraccherà nei porti americani, mentre la Cina ha già avviato una contromossa che potrebbe vietare alle navi americane l'attracco nei porti cinesi. Attesa per il possibile vertice Trump-Xi per disinnescare queste minacce


09/10/2025 11:44

di Marco Leporati*

settimanale

Sebbene i dati pubblicati recentemente dal WTO a proposito del commercio internazionale con una di crescita al 2,4% possano far sperare un positivo 2025 grazie ad un'imponente massa di hardware per servizi in supporto alla AI in Cina, in Asia e Stati Uniti, l’aspetto più tradizionale e storico della produzione agricola e dei mezzi di trasporto convenzionale rimane un punto indiscutibile della natura del commercio stesso.

Ed è difficile prevedere se il gioco tra Cina e Stati Uniti relativo al commercio di soia, ai chip, alla proprietà intellettuale e alle imposizioni addizionali alle flotte cinesi in arrivo nei porti americani sarà a somma zero. Soia, chip e navi, per semplificare, rappresentano un’ulteriore complicazione nell’ambito del commercio mondiale, già rovinato dalle decisioni di inizio anno concernente i superdazi americani.

Sulla soia la situazione tra i due paesi è molto tesa, perché scaduto all'inizio di quest'anno l’accordo sull’acquisto di prodotto americano da parte della Cina sottoscritto nel 2019, nei mesi scorsi l’85 % degli approvvigionamenti cinesi è arrivato dal Brasile che ha assunto la primazia delle forniture.

Da gennaio ad agosto, il Brasile ha già spedito, secondo le fonti doganali, 53 milioni di tonnellate verso la Cina pari al 71,9% del totale importato nel periodo di riferimento.

Nel picco del raccolto tra settembre e novembre la Cina non ha piazzato ordini ai produttori del Middle West americano ma ha confermato tra settembre ed ottobre ordini per 12 milioni di tonnellate di prodotto originato in Brasile e Argentina pari a una consistente parte del suo fabbisogno, lasciando gli Stati del Middle West ed i loro agricoltori con la bocca amara.

Quanto sta accadendo è devastante: con il raccolto di questi mesi, particolarmente abbondante, si va a creare uno stoccaggio che non può avere altri sbocchi di mercato anche considerando i costi di produzione incrementatisi a causa dei dazi per i fertilizzanti importati e i bassi prezzi di vendita con conseguente risicato margine di profitto.

Ad aggravare le circostanze di mercato di questa importante commodity va menzionato lo smantellamento da parte del presidente Trump della Usaid, l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale che aveva come compito l’acquisto del surplus agricolo da convertire in aiuti umanitari.

Come parziale effetto risarcitorio Trump ha promesso che userà parte delle entrate dei dazi maggiorati per un programma di ristoro a favore degli agricoltori americani per bilanciare le loro perdite cercando anche oltre confine dei possibili compratori. Tra questi, l’India non può essere considerata una controparte per l’acquisto dal momento che è stata penalizzata con un dazio del 50% per il suo export.

I contadini americani o meglio i farmers, come i protagonisti dei romanzi di Steinbeck si renderanno conto, come gli operai di Pittsburgh del film Il Cacciatore, che le misure sin qui adottate non hanno portato loro nessun beneficio annegando solo le loro speranze e ritornando ai sussidi per sopravvivere.

La Cina è in una posizione di stallo, in attesa, come definito da un cronista del South China Morning Post, della bandiera bianca americana ovvero il procrastinare o l’annullare i tanto discussi superdazi.

Ora, se il periodo di tregua daziaria verrà posticipato secondo il calendario al 10 novembre come pare da alcuni atteggiamenti della Presidenza, saranno staccati degli ordini, diversamente la posizione della Cina continuerà a rimanere ferma sulle richieste di cancellazione dei dazi irragionevoli.

C'è, tuttavia, un secondo capitolo nella trama, che potrebbe complicare ulteriormente la situazione dei rapporti Cina-Usa. Infatti la scorsa primavera, nel pacchetto trumpiano delle misure adottate nei confronti della Cina, era comparso l’ordine esecutivo che obbligava le flotte cinesi a corrispondere a partire dal prossimo 14 ottobre una gabella al momento dell’attracco a banchine americane, 50 dollari a tonnellata o 18 dollari a tonnellata e/o 120 dollari a container a seconda che la nave appartenga ad armatore cinese o sia stata costruita in cantieri cinesi. Il tutto incrementato sino alla primavera del 2028.

Con le negoziazioni successive ed i continui posticipi sembrava che questa decisione fosse stata rimossa, invece allo stato delle cose, dovrebbe andare in vigore alla data stabilita, cioè la settimana prossima.

La contromossa cinese è arrivata questi giorni con una decisione approvata dal Premier Li Qiang, in vigore nell’immediato, che ha introdotto imposizioni addizionali nei confronti di navi di armatori americani con la possibilità di vietare l’accesso nei porti cinesi. Queste sono da considerarsi risposte ritorsive alla Sezione 301 dell’Ustrade Rappresentative che le aveva emanate seguendo le direttive di Trump.

Il provvedimento non dovrebbe penalizzare le nove principali compagnie asiatiche ed europee, ma potrebbe influenzare le attività di Matson, compagnia di navigazione a capitale interamente americano, oltre a società banche e finanziarie americane che hanno interessi e partecipazioni nell’attività marittima.

A fronte di questo scenario le compagnie marittime cinesi, avendo accordi di cooperazione con armatori non cinesi, stanno ingegnandosi alfine di trovare soluzioni per scansare questo problema; caso a se è quello di Cosco, la più importante compagnia marittima cinese che, nei suoi aggiustamenti di rotte, è consapevole che sarà soggetta a una penalizzazione di extra costi che dovrà gestire.

L’incontro, in fase di definizione, tra Donald Trump e Xi Jinping a margine del vertice Apec in Corea del Sud, agli inizi di novembre, potrebbe significare una svolta su tutti questi temi. Ma va tenuto presente che «la Cina attualmente ha nelle mani molte carte da giocare nella sua negoziazione con gli Stati Uniti. Queste carte chiaramente riflettono il potere della Cina o la sua leva strategica durante le future negoziazioni e i suoi sforzi per ottenere condizioni più favorevoli dalla controparte», come ha osservato James Downes, co-direttore del Center for Research and Social Progress. (riproduzione riservata)

* corrispondente da Shanghai, dove vive e lavora da 30 anni


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