Bernard Arnault ha fatto shopping in Cina. Ma in nessuna delle maison del suo gruppo Lvmh. Stando a quanto riportato da Bloomberg, il patron del lusso francese a settembre mentre passeggiava al Qiantan taikoo li di Shanghai avrebbe acquistato due borse di Songmont, brand minimalista di lusso new age made in China.
Per poi trascorrere mezz’ora davanti alle vetrine di Laopu gold, azienda locale di gioielli che in meno di un anno ha guadagnato oltre il 1.600% in borsa a Hong Kong. Un segnale importante considerato che, proprio in queste settimane con l’uscita delle trimestrali del lusso, si è parlato di brillanti segnali di ripresa del mercato cinese, con forte entusiasmo sulle borse europee. Un fragile segnale della fine di un lungo periodo di marcata contrazione.
In realtà, più che di rinnovato slancio, sembra trattarsi di una fine delle perdite che scatta la foto di un mercato da 49 miliardi di dollari che non solo cambia pelle, ma non sorride più ai soliti noti. Chi corre, infatti, sono i marchi locali. Secondo i dati raccolti da Bigone lab, cinque brand made in China di pelletteria, abbigliamento, profumi, cosmetica e gioielleria hanno superato sette concorrenti stranieri in crescita delle vendite negli ultimi due anni. Da un lato, Laopu gold ha moltiplicato per 10 le vendite e-commerce in due anni e Songmont ha quasi raddoppiato. Sul fronte opposto, le vendite di borse per Gucci sono crollate di oltre il 50% e Michael Kors è arretrato del 40%.
Stando ai dati relativi agli altri marchi cinesi, come Mao geping cosmetics o le fragranze To summer fino al brand di abbigliamento di Icicle, i risultati sono promettenti anche nelle altre categorie. C’è chi, infatti, come il colosso beauty francese L’Oréal che nei giorni scorsi ha rilevato il brand skincare cinese Lan, sta investendo proprio in etichette local. E sul fronte del retail digitale la sfida diventa ancora più chiara.
Gli analisti di Bain & company stimano che il mercato del lusso cinese, dominato da giganti europei come Lvmh o Kering, si sia contratto fino al 20% lo scorso anno, registrando il calo più marcato almeno dal 2011. Sebbene vi siano stati spiragli di ripresa, il management parla di «cautela» e «incertezza». I motivi sono da rintracciare parzialmente nella crisi del mercato immobiliare, che sta condizionando i consumi. Ma anche nel continuo ritocco al rialzo dei listini, sebbene non sia il prezzo il fattore determinante nella scelta.
In Europa, invece, la narrativa rimane incentrata su listini ritoccati al rialzo e sul nome come garanzia di qualità. Rischiando di perdere rilevanza, uno scenario decisamente peggiore rispetto alla perdita unicamente di fatturato. La presunta ripresa cinese potrebbe così rivelarsi solo una miope visione occidentale, dettata dalla nostalgia di un mercato che, dal 2011, era motore economico delle griffe storiche, ma che forse oggi non esiste più. (riproduzione riservata)