Il sourcing globale della moda entra in una nuova era. Secondo i dati dell’Omc-Organizzazione mondiale del commercio, nel 2024 la Cina ha perso per la prima volta la leadership nell’export globale di abbigliamento, scendendo al 29,6% della quota mondiale, superata, seppur in minima misura, dall’Unione Europea, che ha raggiunto il 29,7% grazie a un valore totale di 166 miliardi di dollari. Si tratta di un passaggio storico, che segna un nuovo equilibrio produttivo nel fashion system dopo due decenni di dominio cinese incontrastato.
Il calo di centralità della Cina nel fashion sourcing è frutto di una convergenza di fattori, tra cui l’aumento dei costi interni, il ripensamento delle catene del valore post-pandemia, le innumerevoli tensioni commerciali con gli Stati Uniti e una crescente domanda di produzione.
Nonostante la perdita di peso relativo, la Cina ha mantenuto stabili le proprie esportazioni a 165 miliardi di dollari, recuperando terreno rispetto al calo del 10% registrato nel 2023. Tuttavia, altri grandi player asiatici hanno mostrato performance contrastanti. Il Bangladesh, secondo esportatore mondiale per volume, ha chiuso il 2024 con una crescita del 7%, toccando i 38 miliardi di dollari, ma ha comunque visto scendere la propria quota globale dal 7,4% al 6,9%.
Il Vietnam si conferma terzo paese, con un export di 34 miliardi di dollari e una leggera crescita della quota al 6,1%. La Turchia, nonostante il reshoring europeo, ha pagato l’alta inflazione, riducendo le esportazioni del 4% e perdendo competitività. Infine l’India, stabile al 2,9%, cresce in valore ma non in quota, segno di un rallentamento strutturale. A distinguersi è la Cambogia, che ha registrato il maggior incremento percentuale dell’anno segnando un incremento del 24% nelle esportazioni, salendo all’1,8% del mercato globale. In ascesa anche il Pakistan, rientrato nella top ten con un export di 9 miliardi di dollari (+15%).
L’avanzata dell’Unione Europea come primo esportatore mondiale è in parte spiegata dalla strategia delle grandi maison e dei gruppi del lusso, che hanno rafforzato la produzione intra-europea. Gli Stati Uniti, invece, restano marginali nell’export di moda, con una quota del 3% e 7 miliardi di dollari, in calo del 2% rispetto all’anno precedente.
Il panorama globale del sourcing si sta frammentando. Se nel 2010 i primi dieci esportatori rappresentavano quasi l’80% del mercato, oggi la loro quota complessiva è in discesa. Ad eccezione di Cambogia e Pakistan, tutti i principali hub produttivi stanno perdendo peso. Un segnale chiaro che la moda sta ripensando le proprie supply chain in chiave più flessibile, resiliente e multilocale, aprendo lo spazio a nuovi protagonisti e modelli di produzione. (riproduzione riservata)