Se la Cina nelle sue direttrici geopolitiche e geoeconomiche aspira a muoversi sulle rotte che attraversano l’Oceano Artico, nello stesso tempo ne ricerca delle nuove sul Pacifico. La più immediata e ormai in via di completamento in questo quadrante geografico riguarda le coste peruviane dove, da novembre, sarà attivo un porto che consentirà dall’anno prossimo di ridurre drasticamente, da 33 a 23 giorni, i tempi di percorrenza necessari dalla Cina.
La costruzione del nuovo porto di Chancay, località non distante dalla capitale Lima, era iniziata nel 2019 quando la compagnia marittima cinese Cosco Shipping aveva acquisito il 60% delle quote nel Terminal portuale dalla Volcan Compania Minera, una controllata dalla svizzera Glencore, per lo sviluppo dell’area adiacente all’oceano con diritto esclusivo di utilizzo quale unico operatore terminalista.
Su quest’ultimo aspetto ne è emersa una controversia contrattuale che ha portato ad un arbitrato internazionale conclusosi, bona fide, proprio in questi giorni in occasione della visita in Cina della Presidente della repubblica Dina Boluarte Zegarra che, eletta nel 2022, ha avuto l’opportunità a Shenzhen, Shanghai e Pechino di scambi istituzionali, economici e tecnologici inclusa la presentazione di questa iniziativa.
In particolare a Shenzhen ha incontrato i vertici della BYD per un possibile insediamento produttivo nell’hub di Chancay finalizzato ovviamente alle auto EV, garantendo alla società cinese un regime a zero tariffe. Inoltre sempre a Shenzhen è stato sottoscritto un accordo con Huawei per l’introduzione della sua tecnologia nel sistema ferroviario peruviano.
A Pechino non poteva mancare la firma di un FTA, free trade agreement, per gli anni a venire. Il Peru ha una lunga storia di relazioni con la Cina che iniziano con flussi migratori durante il XIX secolo quando centomila cinesi sbarcarono sulle coste peruviane ed ancora oggi l’8% della popolazione totale discende dalla generazione cinese di allora.
Anche nel vocabolario peruviano sono state contaminate o meglio meticciate alcune parole derivanti dalla lingua cinese e recentemente il parlamento peruviano ha deciso che il primo febbraio di ogni anno sia celebrato il Giorno della Fratellanza tra Peru e Cina.
Il nuovo porto, che in prospettiva coagulerà un hub di primaria importanza nell’area sudamericana, ha la peculiarità, in primo luogo, della profondità del pescaggio intorno ai 20 metri che consentirà l’attracco a navi portacontainer di ultima generazione con una capacità di 18.000 Teus. Chancay sarà l'unico della costiera sudoccidentale a presentyare questa caratteristica.
La seconda valenza molto rilevante è che questo porto potrà servire anche il Brasile in quanto i due Paesi sono collegati dalla Southern Intraoceanic Highway, un’autostrada che taglia il continente sudamericano passando attraverso l’area brasiliana deforestata di Acre e Rondonia ad alta vocazione agricola per la produzione di soia, commodity di cui la Cina ha sempre più necessità.
Una considerazione forse azzardata potrebbe meglio far comprendere il desiderio o la necessità di intraprendere la scoperta di nuove rotte e di praticarle da parte della Cina. Ricordiamoci che l’ammiraglio Zheng He, durante la dinastia Ming, con i suoi sette viaggi documentati aveva cercato nuovi lidi e nuove rotte tra India ed Africa lambendo tutte le coste della penisola arabica.
Infatti allo stato attuale con i conflitti in atto che non volgono a soluzioni immediate il problema delle rotte persiste senza spiragli: l’unica alternativa è stata quella della circumnavigazione dell'Africa nella rotta Est-Ovest con aggravio di tempi e di costi.
Nel trovare soluzioni intese come vantaggi competitivi, questa del porto di Chancay, pensata forse in tempi non sospetti ma con alcuni segnali che stavano stagliandosi all’orizzonte (anno 2018, Trade war e raffreddamento o meglio disincanto del modello globalizzante), ha fatto sì che la Cina iniziasse a pianificare altre connettività oceaniche (i servizi ferroviari euroasiatici erano nati nel 2013).
A completamento di azioni in questo quadrante sudamericano vi è stata la recente richiesta del Cile, presentata a metà giugno, di aderire al Trattato RCEP. Il Cile aveva già stipulato con la Cina un FTA che aveva permesso di regolare lo scambio commerciale a tariffe ridotte se non azzerate. Infatti la Cina dal Cile ha importato sia le terre rare, litio in primis, che i minerali e soprattutto il rame sia vino e frutta; solo di ciliege nella stagione 2023-2024 la Cina ha importato 377.000 tonnellate di prodotto.
A sua volta la Cina ha esportato macchinari, prodotti elettronici, tessile, acciaio ed elettrodomestici. Con il RCEP, poiché il Cile ha in essere 33 accordi commerciali con rispettivi Paesi, questa adesione permetterebbe al Cile di entrare nell’area Asean e alla Cina di incanalarsi nelle scia dei 33 accordi.
Se gli scambi del commercio globale nel 2023 si sono attestati intorno al 3% quelli relativi ai Paesi firmatari dell’accordo RCEP sono stati del 5,6% gravitando su di un bacino che contribuisce al 30% del pil mondiale ed ha attratto investimenti greenfield per 234 miliardi di dollari USA. Questa è una applicazione pratica della tanto decantata teoria win-win. In questo modo la Cina potrà beneficiare degli output di tre Paesi con un’unica mossa del cavallo. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni