A fine giugno Msc, la prima compagnia marittima al mondo in termini di flotta, ha deciso di dislocare, incrementandone la capacità, nuove navi portacontainer sulla rotta Asia-West Africa.
La decisione, confermata dalla società di ricerca Alphaliner, è dipesa dal fatto che la maggiore crescita, nei primi mesi del 2025 deriva da questa rotta, all’interno della classifica delle sue dieci più importanti rotte, con un incremento della capacità di stiva nell’ultimo periodo del 28%. Per questo Msc è passata dall'impeigo di navi con una capacità di 6.342 teus a 8.127 teus con una punta di 23.782 teus della portacontainer Diletta, ancorata al Porto di Lomé in Togo.
L’obiettivo finale sarà quello dell’utilizzo di navi con una capacità di 24.000 teus nei porti di Abidjan in Costa d’Avorio, Tema in Ghana e Kribi in Cameroon.
In realtà Msc, nella sua strategia verso il continente africano si è mossa a partire dal 2022 acquisendo tutta l’organizzazione, comprensiva di terminal, rete ferroviaria, magazzini e concessioni di trasporti su vie di acqua, e un organico di 23.000 persone dalla società francese Bollorè con una transazione di oltre 5 miliardi di euro. Questo sistema linfatico africano (AGL) ha permesso in brevissimo tempo a Msc di controllare la rete di trasporto africana.
Perché tutto questo interesse verso l’Africa? Il Continente nero oggi appare come una deelle aree più attrattive per il futuro. Dal punto di vista demografico il continente africano passerà da 1,5 miliardi di popolazione a 2,5 miliardi nel 2050 con al momento centocinquanta nuove città.
La Cina, molto attenta alle variabili geopolitiche, se ne era accorta una decina di anni fa puntando sulla BRI (Belt and Road Initiative) investendo centinaia di milioni di dollari nelle infrastrutture prima a cotè dei Paesi mediorientali e poi penetrando in East Africa, quella di lingua inglese, per poi giungere alla parte occidentale con un potenziale di utilizzo più elevato e punto di partenza verso gli sbocchi atlantici.
Sulla scia della Cina altri paesi si stanno muovendo compresa l’Italia con il Piano Mattei focalizzato su progetti pilota in Etiopia, Algeria, Kenya e Congo, ma il fato più significativo è il recente interesse del presidente Trump a trovare soluzioni bilaterali con alcuni Stati sovrani soprattutto attraverso la negoziazione dei dazi (recente il caso del Vietnam che ha sparigliato le carte alla Cina ma ha soddisfatto le imprese cinesi presenti in questo Paese).
Paradigmatico è l'impegno del tycoon nel trovare soluzione alla ostilità pluridecennale tra Ruanda e Repubblica democratica del Congo. Il Congo è uno dei Paesi africani con la più alta percentuale di terre rare, in primis il cobalto, a seguire rame e litio e la Cina per questa ragione aveva promosso investimenti al fine di avere il controllo delle terre rare di questo paese, relegato ad uno status di colonia sin dai tempi della dominazione belga.
L’accordo di cui sopra potrebbe creare una via ancillare per l’ottenimento delle terre rare da parte dell’amministrazione americana dal momento che, a oggi, è l’oggetto del contendere prioritario con l’Ucraina e con la Cina: con entrambi i paesi, gli accordi, di cui non si conoscono i dettagli, stentano a decollare.
Con il Congo, gli Usa dovrebbero sottoscrivere un accordo separato che permetterà ad alcune società americane, tra cui Amazon e Microsoft, di attingere alle sue risorse con investimenti nelle miniere, nei giacimenti, nei processi di raffinazione e nelle infrastrutture.
«Washington ha un interesse nella sicurezza e stabilità nella regione dei Grandi Laghi», ha indirettamente confermato Thérèse Keyikwamba, ministro degli Esteri congolese, a seguito dell’incontro triangolare con gli americani.
Quasi contemporaneamente il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi durante l’incontro con i rappresentanti di Etiopia, Sud Africa e Nigeria ha promesso che «la Cina è pronta a considerare le opportunità di modernizzazione delle sorelle e dei fratelli africani».
D'altra parte il collo di bottiglia nell'accaparramento di terre rare non è tanto l'estrazione quanto il processo di raffinazione nel quale la Cina detiene la migliore e più performante tecnologia mentre gli altri paesi, a prescindere dalla quantità estratta, potrebbero ritrovarsi con rese molto basse come i cercatori d’oro che con mezzi atavici cercavano la fogliolina del metallo prezioso.
Nella supply chain delle terre rare la separazione e l’estrazione per convertirle in ossidi e metalli è un aspetto importante ma è la produzione di magneti quella con il maggior valore aggiunto perché componenti indispensabili per la tecnologia della green energy e per la componentistica delle EV.
La Cina oltre agli stabilimenti situati sul proprio territorio ne ha creati nel mondo 67 di cui solo sei sono specializzati nella produzione di magneti la cui domanda entro il 2030 sarà di oltre 200 mila tonnellate.
Ovvie, quindi, le mosse strategiche di Msc e tanto più lontana appare l'osservazione, per altro di un grande reporter, il polacco Ryszard Kapuscinski che dopo una lunga permanenza in Africa alla fine degli anni 90 del secolo scorso scroveva in Ebano: «Fin dall’antichità l’Africa ha sempre esercitato attrazione e timore. La paura che suscita le permetteva di restare sconosciuta e incontaminata». Dopo un quarto di secolo non è più così. (riproduzione riservata)