Lo sparigliare delle pedine sulla scacchiera del mercato automobilistico lungo la direttrice sino-europea sta assumendo toni fino a pochi mesi fa imprevedibili e che porteranno a ridisegnare il settore automotive nei rispettivi continenti.
Il primo elemento fondativo di questo soqquadro è la decisione di due marchi storici tedeschi Volkswagen e Mercedes con lunga tradizione in Cina di produrre proprio in questo Paese vetture elettriche seguendo il postulato “In Cina per la Cina”.
Il secondo elemento riguarda i produttori di auto europei che dovranno vedersela con materiali provenienti da una catena di fornitura quasi esclusivamente cinese.
Infine il terzo elemento riguarda i produttori cinesi, in primazia nel mercato dell’EV che hanno deciso strategicamente di produrre in Europa come la BYD con il suo nuovo stabilimento in Spagna
Di fatto Volkswagen, presente in Cina da circa quarant’anni in joint venture con Saic Shanghai e con FAW, ha prodotto dall’inizio lo storico modello Santana e, nel corso degli anni ha ampliato la propria gamma ma, con l’avvento dell’auto elettrica cinese il mercato domestico ha subito una trasformazione e Volkswagen è retrocessa in una posizione mediana nella classifica delle vendite. Corrispettivamente in Europa e nella terra di origine Volkswagen ha avuto alterne vicissitudini che hanno pesato profondamente sui bilanci e sulle vendite.
La decisione di produrre in Cina 30 modelli EV nei prossimi cinque anni ha coinciso con l’apertura di un nuovo centro di sviluppo a Hefei nella provincia dell’Anhui, a circa 400 chilometri da Shanghai e fonda il presupposto su un ragionamento molto semplice: il costo di realizzazione di un modello verrà ridotto del 50% grazie ad una efficiente supply chain, incluso il procurement delle batterie e soprattutto per l’inveterato concetto del “Time to market” cioè del tempo necessario dallo sviluppo dell’idea al mercato, caro al Boston Consulting Group che verrebbe ridotto da 50 a 30 mesi.
Anche per Mercedes, la casa automobilistica di Stoccarda, arrivata in Cina a produrre in una fase successiva, dopo le importazioni dalla Germania di modelli premium e prestige, è venuto il momento di produrre auto EV in questo Paese: Ola Kallenius, ceo di Mercedes ha affermato che «per essere più competitivi a livello globale, dobbiamo avere successo in Cina. Il ruolo cruciale della Cina è come partner strategico per l’innovazione, l’elettrificazione e la decarbonizzazione».
Mercedes aveva una joint venture con BAIC di Pechino dove era stata insediata l’unità produttiva che continua nell’attività anche dell’elettrico e una joint venture con Fuijan Motor Industry per la progettazione di tre nuovi modelli. La collaborazione con BYD è ormai dissolta.
Per le imprese italiane quali Pirelli e Brembo, già fornitori di queste case automobilistiche potrebbero aprirsi anche nuove forme di collaborazione per la fornitura di primo equipaggiamento come è accaduto a Pirelli per il nuovo modello Audi EV.
D’altro canto il tedesco Handesblatt ha riportato recentemente che «i fornitori cinesi di componentistica stanno entrando nel mercato europeo offrendo prodotti altamente competitivi nel prezzo con un continuo miglioramento qualitativo».
Visto con l’occhio della Cina che specularmente osserva con la lente europea «la presenza di fornitori cinesi non è crisi (intesa nella radice greca di prendere una decisione) ma una fonte cruciale per rendere i prodotti europei capaci di mantenere la competitività nell’arena globale».
Secondo Guan Mingyu, senior partner di Mc Kinsey «l’industria dell’auto sarà sottoposta entro il 2030 a molti cambiamenti. Abbiamo già visto segni di uno stravolgimento che sta prendendo forma. Almeno cinque produttori cinesi domineranno il mercato globale: BYD, campione indiscusso nell’elettrico con progetti espansionistici in Europa con la costruzione del nuovo stabilimento in Spagna di cui si è detto; Geely Holding Group cui si affiancheranno Xiaomi, Xpeng e Leapmotor, cobranding per un modello con Stellantis».
In questo duello a distanza tra Europa e Cina vale la pena di comparare due posizioni rispettivamente di parte europea e di parte cinese; una flash survey di qualche giorno fa lanciata dalla Camera di commercio europea e che ha coinvolto 131 aziende rileva da parte della metà degli intervistati una certa preoccupazione afferente la nuova normativa sul controllo nell’export riguardo una lista di prodotti la maggioranza dei quali vitale per la produzione di beni ad alta tecnologia a partire dalla componentistica delle auto EV sino a quella degli aerei.
Jens Eskelund, presidente della Camera, ha ribadito che «l’aumento del controllo da parte della Cina all’export di prodotti rientranti nella categoria delle terre rare ha creato un particolare sentimento di incertezza per le imprese che operano nel Paese con il rischio di un rallentamento della produzione fino ad una possibile fermata della stessa».
Dall’altro lato, un documento di oltre settanta pagine redatto da CEIS Xinhua oltre un anno fa dal titolo Greening Europe – Report on Development of Chinese NEV Manufacturers in Europe lamenta in alcuni capitoli che «le barriere del commercio che scoraggiano gli investimenti cinesi in Europa».
Però, qualche giorno fa JD.com, uno dei colossi cinesi dell’e-commerce ha acquisito la catena MediaMarkt per l’85% della holding tedesca Ceconomy, che controlla Mediaworld e Saturn, con mille negozi fisici in undici Paesi europei, Italia inclusa.
Il progetto prevede un’integrazione tra negozi fisici omnichannel e e-commerce tenendo ben presente che la galassia del commercio online in Cina nei primi undici mesi dell’anno ha movimentato 180 miliardi di pacchi. (riproduzione riservata)
* corrispondente da Shanghai, dove vive e lavora da 30 anni