Mentre l'associazione cinese dei costruttori di auto diffonde gli ennesimi dati di crescita double digit del mercato del Dragone, si avvia a un epilogo fallimentare quella che era stata la mossa di Sergio Marchione per aprire all'allora Fca (oggi Stellantis) quello stesso mercato.
Il contrappasso avviene in contemporanea all'annuncio della China Association of Automobile Manufacturers che la produzione automobilistica in Cinaha raggiunto nel primo semestre quota 15,62 milioni di unità, con un aumento del 12,5% rispetto all'anno precedente, mentre le vendite sono aumentate dell'11,4% arrivando a 15,65 milioni di unità.
A trainare il mercato come nei semestri precedenti è stata la produzione di veicoli a nuova energia (Nev) cresciuta del 41,4% su base annua, raggiungendo quasi 6,97 milioni di unità nei primi sei mesi, mentre le vendite sono aumentate del 40,3% a 6,94 milioni di unità. Nel periodo gennaio-giugno, i Nev hanno rappresentato il 44,3% delle vendite totali di veicoli nuovi.
Anche le esportazioni di auto del Paese sono aumentate del 10,4% salendo a 3,08 milioni di unità nello stesso semestre, con le esportazioni di veicoli elettrici che hanno registrato un incremento del 75,2% a 1,06 milioni di unità.
Sono dati che nessuno riusciva a immaginare, quando l'allora ceo di Fca,Marchionne, pensò, nel 2011, di aprire il mercato asiatico, e cinese in particolare, alla jv Fiat-Chrysler stringendo un'alleanza con il gruppo Gac, Guangzhou Automobile Group, uno dei principali in Cina, formando una jv paritetica Gac-Fca.
Nei giorni scorsi il tribunale intermedio di Changsha, nella provincia cinese dello Hunan, ha dichiarato la bancarotta di questa società, ponendo la parola fine a un’esperienza industriale iniziata con grandi ambizioni, ma finita tra profonde difficoltà commerciali, strategiche e soprattutto finanziarie.
L' investimento complessivo di 17 miliardi di yuan (circa 2,3 miliardi di euro) era servito ad avviare due impianti produttivi a Guangzhou e Changsha, con una capacità annua di 300 mila veicoli e l’obiettivo di conquistare il mercato con modelli tradizionali a marchio Jeep e Fiat, tra cui Renegade, Compass, Cherokee, Viaggio e Ottimo, in versioni adattate al gusto locale.
All'inizio l'operazione sembrava avviata al successo con un picco di vendite raggiunto nel 2017 di oltre 200 mila unità commercializzate, poi, invece, il crollo è stato rapido. Gac-Fca non è riuscita a proporre modelli capaci di conquistare un pubblico sempre più attratto da tecnologie avanzate e motorizzazioni elettrificate. Le vendite si sono progressivamente ridotte e nel 2022 la società è entrata formalmente in procedura di ristrutturazione fallimentare. Nessun investitore si è fatto avanti nei tre anni successivi, e tutte e cinque le aste pubbliche per la cessione degli asset – inclusi impianti, terreni e attrezzature – sono andate deserte.
Secondo la sentenza del tribunale, Gac-Fca ha debiti per oltre 8,1 miliardi di yuan (circa 1,1 miliardi di dollari), di cui 4 miliardi non contestati, a fronte di un attivo di appena 1,9 miliardi. L’incapacità di ristrutturare o raggiungere un accordo con i creditori ha determinato la dichiarazione di fallimento e la liquidazione. Il piano di distribuzione degli asset è stato approvato e sarà eseguito nelle prossime settimane.
La vicenda è emblematica delle difficoltà delle case automobilistiche occidentali nel penetrare il mercato cinese, altamente competitivo e sempre più dominato dai player locali specializzati in veicoli elettrici. L’impianto di Changsha, in particolare, era dedicato principalmente alla produzione di veicoli a combustione interna, oggi sempre meno attraenti sul mercato cinese. Qualsiasi ipotetico acquirente avrebbe dovuto investire ingenti risorse per riconvertirlo alla produzione di veicoli elettrici.
Il deterioramento dei rapporti tra i due soci è stato un altro fattore determinante. Stellantis, nata dalla fusione tra Fca e Psa, aveva tentato di assumere il controllo della joint venture, ma Gac si era opposta, accusando il gruppo europeo di inaffidabilità. Il ceo dell’epoca, Carlos Tavares, aveva ribattuto sottolineando le difficoltà di operare in un contesto regolatorio cinese percepito come ostile ai marchi stranieri. Una tensione che ha segnato l’agonia della joint venture, fino alla decisione di presentare istanza di fallimento nel 2022.
L’operazione era ambiziosa ma la sua gestione complessiva si è rivelata inadeguata di fronte alla trasformazione del mercato cinese, alla crescente competitività dei marchi locali e alla rivoluzione della mobilità elettrica. (riproduzione riservata)