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Industria

GM, basta componenti e stampi per auto importati dalla Cina

Il maggior produttore di auto nordamericano sta riorientando la supply chain chiedendo a migliaia di fornitori di allentare i legami con la Cina. Non sono più criteri di costo ma i rischi geopolitici a indirizzare le scelte dei fornitori, però il cambiamento non può avvenire rapidamente, avvertono gli analisti. Ci vorranno anni


12/11/2025 17:02

di Mauro Romano - Class Editori

settimanale
Mary Barra, ceo di Gm

General Motors ha avviato una profonda revisione delle proprie catene di fornitura, chiedendo a migliaia di fornitori di eliminare gradualmente la dipendenza da componenti e materie prime provenienti dalla Cina entro il 2027. Lo rivela in esclusiva Reuters, secondo cui la decisione del colosso Usa dell'auto riflette la crescente preoccupazione del settore americano per le tensioni geopolitiche e i dazi commerciali che minacciano la stabilità produttiva.

Secondo fonti vicine al dossier, la casa di Detroit avrebbe chiesto ai partner industriali di ricollocare la produzione di componenti e materiali critici fuori dalla Cina, privilegiando alternative nordamericane o comunque Paesi non soggetti a restrizioni commerciali imposte da Washington.

Il piano, emerso inizialmente a fine 2024, ha acquisito nuova urgenza nella primavera di quest'anno, nella piena escalation della disputa commerciale tra Stati Uniti e Cina. La ceo di GM, Mary Barra, ha ribadito di recente che l'azienda lavora da anni per rendere più "resiliente" la propria catena di approvvigionamento: "L'obiettivo è rifornirci nello stesso Paese in cui costruiamo i veicoli, quando è possibile".

L'iniziativa di GM rientra in una strategia più ampia, che coinvolge l'intero settore automobilistico americano. Dopo anni di dipendenza dalla Cina per elettronica, terre rare e stampi industriali, le case si stanno riorganizzando per mitigare l'effetto dei rischi geopolitici. Il chief procurement officer di GM, Shilpan Amin, ha sottolineato che la resilienza ormai prevale sui criteri di costo: "Non basta più produrre dove conviene di più. Serve sapere esattamente da dove arrivano i componenti".

La nuova ondata di dazi lanciata dal presidente Donald Trump e le contromisure di Pechino hanno alimentato un clima di incertezza che spinge molte aziende a ridurre il rischio delle proprie catene di fornitura. Le recenti restrizioni cinesi sulle esportazioni di terre rare e componenti elettronici hanno acuito la pressione, mentre dispute legate alla proprietà intellettuale - come quella che ha bloccato le spedizioni di chip del fornitore olandese Nexperia - hanno mostrato quanto sia fragile il sistema.

Riorientare la filiera fuori dalla Cina si preannuncia un processo lungo e oneroso. In settori come illuminazione, elettronica e utensileria, la Cina detiene ancora una posizione dominante. "È un enorme sforzo: i fornitori stanno cercando alternative, ma non è un cambiamento che può avvenire in pochi anni", ha commentato un dirigente del comparto componentistica. Collin Shaw, vicepresidente dell'associazione americana dei fornitori Mema, ha sottolineato che per costruire le relazioni industriali con la Cina sono serviti decenni: "Stiamo cercando di disfare 30 anni di integrazione in meno di cinque. Non succederà in fretta". (riproduzione riservata)


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