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Politica

Cresce l'appeal della Cucina Italiana in Cina, ora la leva è l'Unesco

Dopo il riconoscimento tributato il 10 dicembre come patrimonio culturale dell'umanità è il momento di abbattere le barriere procedurali che rallentano una più larga diffusione nella Repubblica popolare del cibo italiano. Il cui consumo degli ultimi 5 anni sta crescendo bene, soprattutto per cioccolato, formaggi, latticini, pasta, prodotti dolciari e farine


18/12/2025 12:04

di Marco Leporati*

settimanale
Pier Luigi Petrillo, presidente dell’Organo degli esperti mondiali dell’Unesco e professore all'università La Sapienza di Roma

Prima il cioccolato (e i prodotti a base di cacao), poi formaggi e latticini, quindi la pasta, i prodotti dolciari e le farine, infine spezie e condimenti, a chiudere con l'olio vergine di oliva: si declina così la scala dei valori delle specialità alimentari made in Italy in Cina, secondo i dati di una recente ricerca commissionata da Ice alla società Dywin Consulting su dati della Chamber of Commerce for Import and Export Foodstuffs (Cfna). 

Ma il dato più interessante della ricerca è la crescita stabile negli ultimi cinque anni dell'export in Cina dei prodotti agroalimentari italiani che evidenzia un crescita media annua (Cagr) del 3,6%, in controtendenza, dal 2023, con il totale dell'export tricolore verso la Repubblica popolare. Per il cioccolato, la crescita nell'ultimo anno ha sfiorato il 22%, spingendo il cagr quinquennale all'8,7%, per i latticini e formaggi il cagr ha superato il 25% e il 30% anno su anno, mentre per spezie e condimenti il cagr ha sfiorato il 19% con crescita annua del 28,6%. 

 Nulla toglie al valore di questi numeri il fatto che l'export combinato di questi prodotti in Cina non arrivi a 300 milioni di euro e che nel complesso la quota di mercato dei prodotti della Cucina italiana sfiori lo 0,6% del mercato agroalimentare cinese.  Emerge soprattutto dalla ricerca che il cibo made in Italy si sta conquistando una base solida e significativa in Cina, su cui potrà fare leva il recente riconoscimento della Cucina italiana da parte dell'Unesco come patrimonio culturale dell’umanità in quanto “miscela culturale e sociale di tradizioni culinarie”. 

L'obiettivo è, ovviamente, trasformare quella miscela culturale in conoscenze e consumi da parte dei cittadini cinesi, rispettando non solo il sound italiano, ma soprattutto la qualità, per aprire una nuova stagione della Cucina italiana in Cina che vada ben oltre l'accoppiata pizza e mozzarella.

 Anche per questo è significativo il percorso che ha portato alla storica, per l'Italia, giornata del 10 dicembre scorso, percorso iniziato anni fa con un’iniziativa dell’Accademia Italiana della Cucina, Istituzione culturale della Repubblica Italiana, della Fondazione Casa Artusi e della rivista La Cucina italiana, poi raccolta, sostenuta e formalizzata dal governo italiano attraverso il Ministero degli Esteri di concerto con il Ministero della Cultura e quello dell’Agricoltura e Sovranità alimentare.

Alla preparazione del dossier hanno lavorato Massimo Montanari, docente presso l’Università di Bologna di Storia dell’alimentazione, e Pier Luigi Petrillo, Presidente dell’Organo degli  esperti mondiali dell’Unesco ed esperto nelle relative procedure, unendo sinergie che hanno permesso di vincere una sfida non facile per culture motivazionali differenti anche perché, fino a ora, delle 21 tradizioni iscritte nella lista dei patrimoni immateriali Unesco nove erano stati attribuite all’agroalimentare italiano quali l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la dieta mediterranea, la transumanza ma il tutto in forma disgiunta e mai consolidato nella voce unitaria della cucina italiana.

Un corollario spesso usato e talvolta abusato mette in luce che la tradizione culinaria italiana è fondata su “saperi e sapori”. Ed è proprio la traduzione semplificate della motivazione Unesco in quanto la varietà illimitata di ingredienti, ricette e piatti, da quelli popolari sino a quelle della tradizione delle tavole borghesi e nobiliari, hanno sempre avuto una corrispondente cornice nella trasmissione dei saperi, sia a livello popolare con l’affabulazione e la consuetudine trasmessa alla diverse generazioni sia alla distillazione di un linguaggio colto. Come evidenziano due esempi significativi.

Il primo riguarda Pellegrino Artusi, autore de "La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene" che fu pubblicato con grande difficoltà nella Firenze di fine ottocento composto da un florilegio di piatti regionali la cui lacuna era l’omissione di quelli dell’Italia meridionale (le sue ricette si fermavano al Lazio) ma interessanti per l’abbinamento cibi e salute.

Artusi, cuoco per passione ha anche consacrato nel suo testo un vocabolario linguistico, premonitore di una lingua nazionale che avrebbe sovrastato i diversi dialetti. Per questo la gastronomia italiana merita un grande vocabolario.

Il secondo esempio riguarda la fondazione dell’Accademia Italiana della Cucina nel luglio 1953 a Milano, idea sognata e maturata da Orio Vergani, uno dei più brillanti e valenti giornalisti italiani con l’obiettivo di valorizzare l’identità regionale  per farla confluire in un progetto nazionale.

Oggi, nonostante l'evoluzione, soprattutto tecnica, nell’impostazione dell’arte culinaria italiana, il messaggio Unesco che mette tutti d’accordo è proprio l’enfatizzazione della “miscela culturale e sociale italiana”, che può veramente offrire nuove proposte ad ampio spettro anche e soprattutto sui mercati esteri.

In Cina, per esempio, i prodotti italiani fecero capolino in particolare a Shanghai, cento anni fa con formaggi e salumi e con alberghi italiani. In Giappone la Barilla negli anni settanta con la collaborazione dell’Istituto alberghiero di Stresa si era avventurata in quelle terre per insegnare e diffondere la tradizione italiana della pasta.

Oggi con il lasciapassare Unesco, l’Italia ha uno strumento in più, unico nel mondo e che nessun altro Stato possiede: è il momento di sfruttarlo a pieno regime, come ha enfatizzato ieri a Milano il Ministro degli esteri Antonio Tajani in occasione della  terza edizione della Conferenza Nazionale dell’Export e dell’Internalizzazione delle imprese alla presenza di 2mila imprese italiane.

Questo volano per la Cina dovrà l’anno prossimo avere una duplice direzione: il turismo cinese in Italia, che ha avuto buoni risultati nel corso del 2025 e una maggiore promozione dei prodotti italiani, lavorando su barriere procedurali più che doganali: molti vincoli nelle importazioni di prodotti italiani non permettono ancora un flusso semplificato nelle tempistiche e quindi nella disponibilità per la vendita ai consumatori cinesi.

La Conferenza Nazionale dell’export farà tappa l’anno prossimo a Shanghai: si potrà quindi affrontare sul campo anche queste tematiche. (riproduzione riservata)

 


 


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