La scorsa settimana si è chiusa a Hong Kong con un avvenimento che potrebbe condizionare il futuro dei commerci internazionali: 33 paesi asiatici, europei e latino americani, hanno costituito l’International Organization for Mediation (IOMed), una struttura che ha come finalità quella di essere un meccanismo efficiente, paritetico e credibile nella risoluzione delle controversie economiche a servizio del Global South, ovvero un’aggregazione di 130 paesi nei diversi emisferi classificabili come economie emergenti, dei quali cui la Cina si era autoproclamata leader.
Il Global South era nato nel recente passato con una radice di frammenti di Belt and Road e di aspirazioni di alcuni paesi sudamericani ad avere un ruolo antagonistico alla potenza americana e alle decisioni degli accordi di Bretton Woods del 1944, e oggi per proseguire al raggiungimento dei propri obiettivi necessitava di strumenti di facilitazione gestionale focalizzati in questa nuova struttura.
Un primo accordo tra venti Paesi aveva dato vita a un’organizzazione legale internazionale intergovernativa per attualizzare i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite, che si poneva alternativa alla Commissione del WTO sia in termini di struttura che di strumenti, cioè mediazione e non arbitrato.
La scelta della sede di Hong Kong, pilotata dalla Cina, che alla riunione di Hong Kong è stata rappresentata dal Ministro degli esteri Wang Yi, appare come una sorta di epicentro geopolitico. La matrice della legge cinese, anche con le innovazioni normative apportate negli ultimi anni, ha comunque un effetto limitante in una visione globale. Hong Kong, invece, per il suo passato coloniale si porta in dote un ambiente trilingue, inglese, cinese e cantonese, un sistema di melting pot fondato sulla tolleranza ed una efficienza burocratica fuori dal comune. Dialogo e mutuo rispetto sono le fondamenta e per questa iniziativa 350 avvocati dopo il superamento di un esame hanno ottenuto la licenza a esercitare della Greater Bay Area.
Quello che sorprende è che questa nuova istituzione in una visione futura potrà scalzare o per lo meno accantonare la Commissione del WTO che da anni non solo non delibera ma è deficitaria di membri per la sua composizione: infatti la Dispute settlement body è composta da sette persone con decadenza dell’incarico dopo otto anni di cui a rotazione tre sono titolate della decisione; i tempi di risposta sono nell’ordine dei dodici mesi senza nessun auspicio di una rivitalizzazione che, dopo un quarto di secolo dall’entrata come membro della Cina, ne sentirebbe la necessità.
Quando si afferma che la Cina sta programmando il proprio futuro concentrato sulle tecnologie e le fonti rinnovabili non è possibile dimenticarci il lavorio di accordi e relazioni con l’altra parte del mondo. IL mercato americano mantiene ancora la sua indiscussa primazia per l’export cinese ma in queste incertezze decisionali risulta evidente che sia importante per la Cina crearsi un sistema di protezione per il futuro.
A corollario anche il baricentro delle controversie marittime si sta spostando definitivamente nell’area Asean. In passato, veniva usata la piazza di Londra ma oggi, non volendo condividere informazioni che potrebbero pregiudicare il futuro, molte compagnie marittime asiatiche e armatori preferiscono utilizzare le sedi sia di Singapore che di Hong Kong.
Con l’instabilità decisionale trumpiana viene spesso utilizzata la clausola di “Forza maggiore” che può contribuire a limitare i danni. I due termini più spesso inseriti nella contrattualistica dai protagonisti commerciali delle due superpotenze sono: “United States exclusion clause” e “China risk clause”.
Nel 2020 Baltic and International Martitime Council aveva designato Hong Kong come una delle sedi per l’arbitrato marittimo insieme a Londra, New York e Singapore e oggi, nel 2025, Hong Kong è la seconda sede preferita per le soluzioni del contenzioso marittimo.
A proposito di controversie non si è ancora chiusa la vicenda dei terminal portuali di Panama di proprietà di Hong Kong’s C.K. Hutchison e si è in attese di una soluzione tra le parti con la supervisione del Governo cinese e americano.
Hong Kong potrebbe, come ritorsione, ritornare ad essere un centro giuridico importante quale lo era stato nel passato? (riproduzione riservata)
* corrispondente da Shanghai, dove vive e lavora da 30 anni